Oggi si perfeziona un processo iniziato il 6 agosto scorso: il sovradimensionamento del dispositivo Green Pass. Da oggi, per lavorare, devi avere il certificato verde.
Non posso farci nulla, questa cosa proprio non mi va giù. Molti dicono che è giusto, perchè bisogna andare avanti e mettersi tutto alle spalle. Ma se andare avanti vuol dire tapparsi occhi, orecchie e persino il naso, allora forse ci dovremmo fermare un attimo e guardare indietro.
La situazione attuale ha una lunga gestazione, non la si può liquidare senza tenere in conto il processo che ci ha condotti qui. Il risentimento dietro alla battaglia, quella sana, di chi trova il Green Pass sbagliato si radica nell’accumulo di scelleratezze perpetrate dall’inizio della pandemia (dallo Stato e da noi cittadini, sia chiaro). La lacerazione sociale che il nostro Paese sta attraversando non ha precedenti, per il semplice ma fondamentale fatto che non conosce confini ideologici, generazionali, di ceto, di istruzione e nemmeno geografici: giovani e vecchi, destra e sinistra, nord e sud, ricchi e poveri, colti e ignoranti. Dappertutto si trova di tutto. Questo fatto, da solo, meriterebbe un’analisi dedicata vista la sua eccezionalità.
Quali sono queste scelleratezze?
1) Un’idea di salute come sinonimo di sopravvivenza. Questa è la scelleratezza primaria, da cui discendono tutte le altre. Ritenere che “stare bene” voglia dire sopravvivere crea una distorsione clamorosa sulle condotte da seguire. Per carità, la sopravvivenza è centrale per il benessere: era chiaro al cacciatore-raccoglitore che non sapeva se avrebbe rivisto un altro tramonto o i suoi nipotini alla veneranda età di 35 anni. Ma per noi è un po’ diverso: la cultura ci impone di articolare un ventaglio comportamentale molto più ampio di quello che abbiamo messo in atto nel primo lockdown, quando – proprio in nome della sopravvivenza – ci siamo chiusi in casa col divieto assoluto di lasciare l’abitazione. E il patimento psichico e l’isolamento, vissuto drammaticamente da moltissimi individui, molti dei quali giovani o giovanissimi, dove li mettiamo? Fanno parte della salute o, siccome non intaccano la sopravvivenza, possono essere messi tra parentesi? È in ossequio a questa idea di fondo che sembra normale a molti, oggi, subordinare il diritto al lavoro a quello della salute-come-sopravvivenza. Viceversa, il Green Pass appare un provvedimento eccessivo a chi non ha mai accettato l’analogia salute=sopravvivenza.
2) Un abuso di comunicazione, di natura smaccatamente propagandistica, da parte delle istituzioni e dei gruppi editoriali. Non parlo (solo) dei social, ma dell’agenda setting dei media e della comunicazione politica. Un intossicamento informazionale parallelo all’infezione reale che ha indotto panico, frustrazione e rabbia a fronte di un sostanziale impoverimento informativo reale. Esempio: il rituale di esposizione dei dati messo in atto dal governo Conte e amplificato dai media, che tanto rassicurava parte della popolazione, ha agito come un vero e proprio pharmakon: mediante la somministrazione ripetuta ha creato un bisogno, il cui soddisfacimento ha generato dipendenza emotiva ed esistenziale.
3) Un occultamento capzioso dei limiti della scienza. Il continuo appellarsi ai dati e alle evidenze ha perso legittimità dal momento che i suddetti dati e le suddette evidenze sono cambiate molte volte, spesso generando scenari antitetici rispetto ai precedenti (l’esempio di AstraZeneca è il più lampante). Ovviamente questo è il modo fallibile in cui la scienza funziona, e nessuno di solito si aspetta che la scienza sia perfetta. Tuttavia, per molteplici ragioni, si è voluta offrire l’immagine di una scienza superiore a tutto, Risultato? La nascita di un’idolatria scientista e l’annientamento dell’autorità politica che, nel caso in questione, stabilisce che bisogna avere un certificato per lavorare.
4) La riduzione dell’interlocutore a nemico pubblico o a caricatura. All’inizio era il corridore: quell’irresponsabile individuo che, invece di pensare al bene pubblico, pretendeva di concedersi il lusso di una corsetta. Questo punto, in combinazione al punto 1, ha innescato un rovesciamento paradossale, per cui stare in casa chiusi fa bene ed è, soprattutto, moralmente lodevole. Mentre uscire a prendere aria è pericoloso per la salute. Trasposto all’oggi, chi si ostina a confinare il disagio sociale sulla questione del Green Pass o del vaccino alla generica categoria dei “NoVax” (preferibilmente fascisti), semplicemente sta mentendo. Riduce l’altro a una macchietta, a un cretino o, negli scenari più strumentalizzati, a un criminale. Il problema che ne deriva è la mancanza di uno spazio di discussione, nel cui vuoto si inasprisce la lacerazione sociale, secondo un circolo vizioso che radicalizza le posizioni. “NoVax” e “Covidioti” sono le due miserabili definizioni che definiscono i due archetipi polari soggetti a questa riduzione.
Se lo Stato avesse avuto a cuore la salute dei suoi cittadini, la salute quella vera e non la versione striminzita generata dall’emergenza; se avesse ammesso che gli errori ci sono stati; se avesse deciso di guidare il processo invece di farselo dettare, scaricando le responsabilità verso il basso (non ti obbligo a vaccinarti, ma invece si); se avesse, insomma, deciso di decidere in autonomia e non in eteronomia, avrebbe creato condizioni per una gestione pandemica più solidale e attenta alle profonde spaccature sociali che stanno interessando il nostro Paese.